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Spurio Ligustino il soldato che mise il Senato sull’attenti

 

A Roma c’è trambusto per l’arruolamento dei soldati per andare a combattere contro il re Perseo. Sarà la terza guerra macedonica (171-168 a.C.) e farà della Macedonia una provincia romana. Le rivalità fra consoli, ex consoli, pretori, tribuni… insomma all’interno della classe politica stanno complicando perfino le operazioni di leva oltre ad avviare manovre e contromanovre per i posti di comando. Un acceso dibattito si sviluppa dinanzi al popolo e ai tribuni della plebe. Dopo l’intervento di Marco Popìlio Lenate (era stato secondo console con Lucio Postumio Albino, il quale poi comanderà la seconda legione a Pidna sotto il comando di Lucio Emilio Paolo), chiede la parola un anziano centurione.
Quel discorso ci è stato tramandato da Tito Livio nella monumentale “Ab Urbe Condita libri CXLII” e grazie a questo storico vissuto tra il 59 a.C. e il 17 d.C., sappiamo cosa il centurione disse e, soprattutto, quale tipo d’uomo fosse.

 


«Quiriti, io sono Spurio Ligustino, della tribù Crustumina, oriundo della Sabina. Mio padre – racconta il centurione - mi lasciò uno iugero di terra e una piccola capanna, dove sono nato e fui educato, ed ancor oggi vi abito. Appena giunto all'età di sposare, mio padre mi dette in moglie la figlia di suo fratello, che non portò con sé niente altro che la libertà, la pudicizia e insieme con queste doti la fecondità, in tale misura da essere assai anche per una ricca famiglia. Abbiamo sei figli maschi, due femmine, entrambe già sposate. Quattro figli hanno la toga virile, due la pretesta».
Sta parlando un uomo soddisfatto. Vive con poco ed ha una grande famiglia, con quattro maschi già maggiorenni, due ancora adolescenti, e due femmine che presto lo faranno nonno. Con questa premessa si sarà guadagnato senz’altro la simpatia del popolo, giacché è uno di loro, non è un aristocratico che trova la pappa pronta. È un uomo libero, un cittadino romano. Ed è un soldato con decenni di battaglie sulle spalle.
Racconta che prende per la prima volta le armi sotto i consoli Publio Sulpicio Galba Massimo e Gaio Aurelio Cotta, cioè quando scoppia la seconda guerra macedonica (200-196 a.C.).
Le cronache dell’epoca ci dicono che Sulpicio Galba non riuscisse a combinare granché in Macedonia, tant’è che il comando fu passato a Tito Quinzio Flaminio. Fu lui che nel 197 a Cinocefale in Tessaglia sconfisse Filippo V (il padre di Perseo).
Senza fare polemica, Spurio ricorda: «In quell'esercito, che fu trasportato in Macedonia, per due anni fui semplice gregario durante la campagna contro il re Filippo; nel terzo anno per il mio valore Tito Quinzio Flaminio mi destinò centurione alla decima centuria degli Hastati», che in battaglia costituivano la prima linea.
La guerra in Macedonia finisce e lui è congedato, ma riparte volontario per la Spagna con il console Marco Porcio Catone, meglio conosciuto come Catone il Censore. Era scoppiata una rivolta degli Spagnoli, e alle due legioni stanziali fu aggiunto un esercito consolare. La repressione non fu facile perché dopo ogni sconfitta i fuochi della ribellione si riaccendevano, ma alla fine Catone pacificò la regione.
Con orgoglio Spurio racconta: «Che nessuno fra tutti i generali viventi sia stato più acuto osservatore e giudice del valor personale sanno bene quanti han fatto esperienza di lui e degli altri generali nel lungo servizio prestato. Questo generale mi giudicò degno d'assegnarmi come primo centurione al primo manipolo degli Hastati».
Stavolta si tratta di una grossa promozione sul campo. Il primo centurione comandava il primo manipolo (unità tattica formata da due centurie) della prima linea e cioè tutti gli Hastati.
Finita la campagna di Spagna, il legionario carico di onori e di gloria cosa fa? Se ne torna in famiglia a zappare l’orticello? Nient’affatto. Si arruola volontario nell’esercito mandato a combattere contro l’impero seleucide e la Lega etolica (guerra siriana 192-189 a.C.) al comando del console Manio Acilio Glabrione.
Anche in questa campagna, Spurio fa qualcosa per cui racconta: «Marco Acilio mi nominò centurione della prima centuria di principes». La sconfitta di Antioco III il Grande alle Termopili (risultò fondamentale un blitz di Catone) pose fine alla guerra e il centurione messo a capo di tutti i principes si ritrovò disoccupato. Ma per poco. È un ufficiale comandante dei legionari esperti, quelli che sono appunto definiti “principes”, e si arruola per altre campagne guadagnandosi altre promozioni. Diventa primipilo, cioè ufficiale che partecipa al consiglio di guerra e che viene iscritto all’ordine equestre con diritto ad aspirare alla carica di pretore. Non dimentichiamo che il servizio militare (di dieci anni almeno) era indispensabile per poter concorrere alle cariche. Nessuno era esentato. Chi non aveva combattuto era escluso dal cursus honorum. Spurio fa una scalata sociale mentre miete promozioni sul campo.
Con orgoglio più che legittimo riassume la carriera: «Quattro volte in pochi anni ho esercitato la carica di centurione primipilo, trentaquattro volte ho ricevuto dai miei comandanti doni in premio del mio valore; sono stato insignito di sei corone civiche per aver salvato la vita di miei commilitoni. Ho finito il mio servizio dopo aver ottenuto ventidue annualità di paga ed ho più di cinquant'anni».
Ma perché Spurio Ligustino fa questo discorso? Come mai cerca (e senz’altro trova) l’approvazione del popolo davanti ai tribuni? Il fatto è che gli arruolamenti sono viziati da continui giochi politici e il centurione superdecorato, arrivato al massimo della carriera partendo da semplice legionario, vuole essere inquadrato secondo quanto gli spetta. Teme di essere assegnato a svolgere un ruolo inferiore a quello che oramai ha raggiunto dopo tanti anni di sacrifici e di pericoli. Il suo resta però un intervento all’insegna dell’osservanza della disciplina e del rispetto della gerarchia. Pur consapevole di ciò che vale, dovrà obbedire comunque e fa una dichiarazione che, pur non violando le regole, rimarca che sarà il valore personale a decidere: «Di che grado mi giudichino degno i tribuni –dice - è compito loro; che nell'esercito nessuno mi superi in valore provvederò da me; e che tale sempre sia stato il mio comportamento, possono attestare i miei superiori e i miei commilitoni». Della serie: qualunque posto mi sarà assegnato, ci penserò io a guadagnarmi quello che mi spetta di diritto.
Livio continua raccontando che venne condotto in Senato dove gli furono resi solenni ringraziamenti e che i tribuni militari gli assegnarono il grado di centurione primipilo nella prima legione, cioè il comandante dei centurioni (Ibi quoque ei ex auctoritate senatus gratiae actae, tribunique militares in legione prima primum pilum virtutis causa ei adsignarunt).
Secoli dopo, Napoleone dirà che ciascuno dei suoi soldati portava nello zaino il bastone di Maresciallo. Ci sono state epoche nelle quali valore e merito erano anche un ascensore sociale. Ci saranno pure state raccomandazioni e bustarelle, ma il centurione ricordato da Livio dimostra che di fronte ai fatti anche il Senato deve mettersi sull’attenti.
Giuseppe Spezzaferro