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Amedeo Lawrence

 

“Comandante Diavolo!”
La vittoria galoppa al comando di Amedeo Guillet
Eritrea 1941, la carica di cavalleria contro i carri armati inglesi

Gli zoccoli dei cavalli al galoppo pestavano forte la terra ma era il rombo dei carri e delle autoblindo a riempire l’aria sovrastando la valle. I tre carri armati britannici Matilda nuovi di zecca avanzavano con la baldanza di chi sa di non avere rivali. La fanteria indiana li seguiva. All’improvviso, centinaia di cavalieri sbucarono urlando da uno uadi nel quale s’erano acquattati e si gettarono contro il centro della colonna. L’attacco improvviso creò grande confusione. Nessuno si aspettava una cosa del genere. Gli italiani erano in fuga ed era del tutto imprevedibile una carica di cavalleria contro carri armati e autoblindo. Era certamente un’azione disperata, l’atto di chi oramai non aveva nient’altro da perdere se non la propria vita. Non di rado i soldati italiani venivano accusati di difettare d’organizzazione e disciplina, ma avevano anche e più volte dimostrato di avere fegato. In quelle ore dimostrarono di averne in abbondanza i cavalieri che continuavano a

spuntare da quell’asciutto letto di torrente. Erano circa 800, ma diedero al nemico l’impressione di essere a migliaia. Sparavano e tiravano bombe con estrema precisione. Il rabbioso fuoco di sbarramento abbatteva cavalli e cavalieri, ma i vuoti nelle file venivano di nuovo riempiti mentre la carica procedeva inarrestabile. In testa galoppava un giovane ufficiale, un tenentino dagli impertinenti baffetti castani. Sparando senza posa e infischiandosene delle pallottole che gli fischiavano intorno, incitava i suoi a non dare tregua.
D’un tratto, d’improvviso così com’erano arrivati, quei forsennati sparirono nella foresta. Il sacrificio di tanti di loro rimasti sul terreno risultò assai prezioso giacché aveva fermato per 6 ore l’inseguimento anglo-indiano. Inoltre, convinse gli alti comandi britannici ad una maggiore cautela, onde evitare altre sorprese del genere.
Quella carica di cavalleria – l’ultima nella storia delle guerre in Africa – fu un autentico atto d’eroismo. Non soltanto. Fu un gesto di vittoria. Di solito, l’eroismo è l’ultima azione dello sconfitto o di chi sta per soccombere. In quello uadi eritreo, l’eroismo fu di giovani vittoriosi. E non finì lì.
Ma chi erano? E, soprattutto, chi era il tenente che li comandava?
In quel gennaio del 1941, Etiopia, Eritrea e Somalia vivevano i loro ultimi istanti come colonie italiane. La poderosa offensiva anglo-sudanese e anglo-indiana in Africa orientale aveva messo in ritirata le truppe italiane. Sul fronte eritreo, l’inseguimento minacciava di operare lo sfascio totale con lo sbandamento degli oltre 17 mila uomini in ripiegamento. Migliaia di uomini indifesi sotto il fuoco aereo libero e incontrastato dell’aviazione sudafricana.
Chi mai avrebbe potuto almeno rallentare, se non proprio fermare, le avanguardie corazzate inglesi? Specialmente una, la brigata motocorazzata anglo-indiana “Gazzelle Force”, minacciava la marcia italiana, che era cominciata abbandonando Kassala, in Sudan, e s’era diretta verso la linea Akordat-Barentu nell’Eritrea sudoccidentale.
La “Gazzelle Force” avanzava decisamente nella valle di Keru, a 100 Km a est di Kassala. Le truppe italiane in quel settore non avevano artiglieria in grado di fermare i carri Matilda, dotati d’una corazzatura spessa fino a quasi 8 centimetri, impenetrabile dai normali cannoni controcarro. Soltanto il potente “88” tedesco riusciva a bucarli, ma in quel settore di “88” non ce n’erano.
La carica di cavalleria supplì alla mancanza di cannoni e raggiunse lo scopo. A cogliere l’obiettivo furono i cavalieri del “Gruppo Bande Amhara” creato nel 1940 e comandato dal tenente Amedeo Guillet, classe 1909.
Il reparto, 1.700 uomini scelti tra cavalieri etiopici, eritreri e yemeniti, era inquadrato da ufficiali italiani con a capo un tenente. A conti fatti era un reggimento per cui il comandante sarebbe dovuto essere un colonnello, ma il governatore dell’Eritrea, il generale Luigi Frusci, un vigoroso lucano che aveva comandato in Spagna il Corpo Truppe Volontarie, aveva assegnato il comando al trentenne ufficiale di cavalleria, già soprannominato dagli indigeni “Comandante Diavolo”.
Guillet aveva dato prove di valore in diversi combattimenti (a Tripoli era stato decorato dal maresciallo Italo Balbo) e gli fu data ampia libertà d’azione nel settore operativo dell’Eritrea nordoccidentale.
La carica di Keru diede inizio alla leggenda del Lawrence italiano, prendendo a prestito il nome di un altro famoso guerrigliero. Durante la prima guerra mondiale, infatti, il tenente colonnello inglese Thomas Edward Lawrence aveva guidato con successo la Rivolta Araba contro l’Impero Ottomano. Conosciuto dal pubblico americano come Lawrence d’Arabia, ebbe nuova notorietà grazie al film del 1962 diretto da David Lean e interpretato da Peter O’Toole.
Amedeo Guillet non è stato “santificato” da nessun film e perciò è poco noto. Ma le sue imprese sono addirittura più incredibili dell’ufficiale inglese che montava cammelli e vestiva all’araba con tanto di caftano e kefiah.
Dopo la resa delle truppe italiane, il “Comandante Diavolo” e un centinaio di cavalieri sparirono senza lasciare traccia e diedero il via ad una micidiale lotta partigiana. La guerriglia antinglese (aprile-ottobre 1941) causò molti danni e tenne impegnate truppe che il nemico avrebbe voluto destinare ad altri compiti. La banda di Guillet fece saltare ponti, depositi e convogli ferroviari. Nessuna via di comunicazione era sicura: l’attacco poteva arrivare da un momento all’altro e in qualsiasi punto. Quei partigiani si muovevano come il pesce nell’acqua, per dirla alla Mao. Le popolazioni locali li proteggevano dalle spie britanniche. Nonostante la taglia di mille sterline, Guillet non fu mai tradito. Dopo 8 mesi di guerriglia, la forza combattente non contava nemmeno trenta uomini e con una banda in quelle condizioni continuare la lotta sarebbe stato del tutto inutile.
Il Comandante Diavolo si camuffò da yemenita e marciò fino allo Yemen (altra incredibile impresa) dove divenne consigliere dell’allora monarca, l’Imam Yahya Muhammed.
Il generale di brigata Amedeo Guillet è morto a Roma il 16 giugno del 2010 a 101 anni (era nato a Piacenza il 7 febbraio del 1909). Dal 1950 era stato ambasciatore in Egitto, Giordania, Marocco e India, incaricato d'affari nello Yemen e console aggiunto ad Alessandria d'Egitto. Nel 1975 aveva concluso per limiti d’età la carriera diplomatica.

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