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Manifesto dell'orgoglio europeo

Un documento per i nostri tempi

Svegliati Europa

PER UNA POLITICA ECONOMICA GHIBELLINA

di Giacomo Petrella

 

Il fermento populista degli ultimi anni ha creato un clima politico incentrato sulla questione meramente sociologica delle élite contro i popoli; per contro le analisi economiche in grado di analizzare la questione del “tramonto dell’occidente” e della crisi europea, semplicemente latitano.

Il nocciolo della questione non viene affrontato: il populismo infatti assomiglia ogni giorno di più ad una sorta di nostalgismo keynesiano. Si fa finta di nulla, che la globalizzazione non esista, che il Wto sia un falso storico e che i flussi finanziari di debito e credito riguardino un tratto della storia sociale da mettere sotto il tappeto, come la polvere.

In questo senso la narrazione delle élite cattive che, di punto in bianco, avrebbero deciso di tagliare diritti e crescita per pura crudeltà aristocratica rende tutto fruibile dall’elettore medio che, incapace di guardarsi allo specchio se non per scattarsi una foto, replica il meccanismo sociologico denunciato e urlato scegliendosi nuove élite pur restando ben ancorato allo stesso sistema economico e sociale.

Eppure il processo di crisi del capitalismo e della democrazia (facce della stessa luna, laddove l’una serve a pubblicizzare le perdite, l’altro a privatizzare i profitti) meriterebbe uno sforzo d’analisi un po’ più accurato. La destra che si fa sinistra e la sinistra che si fa destra sembrano mettere in pratica un triste giochino che sbeffeggia le ipotesi avanguardistiche di inizio ‘900. La democrazia, la tutela fattiva dei diritti universali naturali del consumatore, in fondo, non hanno brillantemente superato la destra e la sinistra? Che effetto vedere la destra erede della tradizione migliana, libertaria e volontarista, anelare alla spesa pubblica; e la sinistra, eliminare i diritti dei lavoratori difendendo la produttività. Ma che è successo in questo turbinio di élite al comando?

Nulla di diverso dalla venuta a galla delle linee di faglia di un sistema che non può più reggere come dimostra lo scenario economico globale. Gli Stati nazionali democratizzati, non riescono più a sopperire al disequilibrio del capitalismo; la chimera liberal-democratica di un marxismo diluito sul lungo periodo, capace di salvare diritti universali e produttività, cade a pezzi sotto la mannaia di regimi sociali anti-individuali.

Dunque che fare? Accodarsi al lento declino americano e occidentale? Passare cioè da un forte indebitamento pubblico ad un forte indebitamento privato; la formica che diventa cicala? O aspettare che Pechino invii i suoi ordini?

In entrambi i casi la cultura classica delle favole greche, lupo e agnello compreso, ci rimanda ad una tradizione economica in cui l’individuo e la comunità si autoregolano. Che lo si voglia o no l’Europa ha una sua tradizione di pensiero e di visione del mondo che non è ancora del tutto morta. Qui, come in Germania, in Spagna e in Francia esistono grandi esempi di imprenditoria libera a carattere comunitario. Vi è una possibile economia ghibellina in grado di dare autonomia ad uno spazio culturale storicamente dato.

Certo bisogna mollare i paraocchi, andare oltre destra e sinistra, comprendendo, sintetizzando destra e sinistra; uccidendo molti diritti universali ad oggi indiscutibili, delegando al singolo molti doveri e libertà, ridando responsabilità e direzione collettiva alla cosa pubblica. Sembrano formulette polemiche ma in realtà sono parole chiave di atti politici ed economici assai precisi che il nostro stare in democrazia è riuscito a cancellare fino alla dimenticanza forzata.

Esiste un modello economico europeo capace di uccidere la chimera liberal-democratica. Bisogna cominciare a parlarne oltre ogni populismo e banale ricerca di consenso.

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