Manifesto dell'orgoglio europeo
Un documento per i nostri tempi
Svegliati Europa
ANCORA FEDELI
di
Mario Michele Merlino
L'idea d'Europa dall'esecuzione di Franco Aschieri al neofascismo
Franco, 94 anni, mi rinnova il racconto di come, dopo l’esperienza esaltante nel btg. Lupo-XMAS, si fosse arruolato nella Legione Straniera, partecipando alla battaglia di Dien Bien Fu in Indocina e alla guerra di Algeria. Per spirito ardito e ricerca di lavoro e un vago sentore di quel ‘fardello dell’uomo bianco’, a dirla con Kipling, in giro per il mondo. Gli chiedo se, nei suoi pensieri, vi fosse l’Europa.
Mi fa un gesto con la mano e, con voce fattasi ormai roca e stanca, mi ricorda che erano soprattutto permeati di Patria e di reazione all’ignominia dell’8 settembre. Non fu per tutti. Penso a Franco Aschieri, di anni 19, nuotatore-paracadutista, fra i sabotatori della RSI fucilati nella primavera del ’44 a Sant’Angelo in Formis, alla lettera scritta, la notte prima dell’esecuzione, alla madre ove conclude ‘Viva l’Europa! Viva il Fascismo!’.
Era metà ottobre ’60. Con Roberto e Girolamo ci iscriviamo alla Giovane Italia, in via Quattro Fontane, dopo aver partecipato in più mattinate allo sciopero degli studenti contro gli accordi del governo con quello austriaco a favore della minoranza altoatesina. Ancora preda di nazionalismo de ‘il Piave mormorava’ (nulla da rinnegare, va da sé, ché da quelle trincee si generò il Fascismo) di sacri confini... Pochi anni dopo e Girolamo se ne andò in Belgio ad arruolarsi fra i mercenari in partenza per il Congo. Spirito d’avventura, inquietudine esistenziale, (erronea) difesa in Africa della civiltà europea (nel medesimo periodo alcuni di noi si nutrivano di Che cos’è il Fascismo? di Maurice Bardèche che ci educò ad andare oltre). Trascrivo una sua considerazione,: ‘... una foresta africana, una pozza d’acqua salmastra per dissetarci, una logora divisa kaki che rappresenti qualcosa di nostro’. Un nuovo e pur archetipo di legionario di un’Europa impastata di sogni, d’Impero, amara oggi?
Fra i libri, in scaffali ove ogni criterio d’ordine è andato soffocato da troppe aggiunte i romanzi (?) di Jean Lartéguy – I Centurioni, Morte senza paga, Saigon addio – storie di ufficiali francesi che, dalla sconfitta e prigionia in Indocina, tornano consapevoli di essere testimoni della nascita della ‘guerra rivoluzionaria’, liberi da vecchie strategie accademie militari pifferi e nastrini. Il soldato politico, erede di quelle divisioni con le mostrine nere e i simboli antichi che s’erano battute, estrema difesa, fra le macerie di Berlino in fiamme, aprile ’45. ‘...la torre della nostra – disperazione e del nostro orgoglio’, come poetava P. Drieu la Rochelle.
E, fra i medesimi libri, il saggio su Drieu (anno 1965), scritto a più mani e dai titoli eloquenti, quali Battaglia per l’Europa e Una visione del mondo. A ben vedere l’una all’altra complementare. E i libri di Adriano Romualdi, pubblicati postumi, che mi fu amico prima che si bisticciasse sulle scalinate di Piazza di Spagna, la mattina di Valle Giulia (1 marzo del ’68). Suo tramite una migliore consapevolezza, la comprensione di un’Europa forgiata sangue e spirito dalle sue Nazioni, divise e sovente in conflitto fra loro, pur sempre però da una cultura e da una civiltà, premesse di ‘una patria... - - compatta come un blocco d’acciaio – come una calamita’ (sempre Drieu che parla). Nella mente e nel cuore, in quella prima metà degli anni ’60, nasceva in noi l’idea d’Europa.
Oggi ad essa ancora fedeli.
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